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Un pomeriggio all’atelier di Milano

Arte e musica
Milano, 1960. Nell’atelier di Aligi Sassu si respira un’atmosfera di leggerezza e complicità.
Le grandi tele appoggiate alle pareti, i barattoli di colore e i pennelli disseminati ovunque creano lo scenario perfetto per un incontro tra amici, ma anche tra arti diverse: la pittura e la musica.
Seduta accanto a un cavalletto, la soprano Eugenia Ratti impugna un carboncino con aria concentrata. Davanti a lei posa Helenita Olivares, compagna di vita e di ispirazione di Sassu, che imbraccia una chitarra e, con dolcezza, ne accarezza le corde. Le note si diffondono nello studio, leggere e spontanee, mentre Ratti, incuriosita, prova a ritrarre il volto dell’amica.
Il gioco si fa più vivace: un gesto impreciso sporca la mano dell’artista improvvisata, che finisce per lasciare un’impronta di colore sulla guancia di Helenita. Le due donne scoppiano a ridere, ma subito dopo Eugenia, osservando il risultato, arriccia le labbra in un’espressione di divertita delusione. Si lascia cadere su una poltrona, fingendo sconforto, come se il ritratto non avesse reso giustizia alla bellezza della modella.
È allora che Aligi Sassu entra in scena. Si avvicina con passo sicuro, prende in mano il foglio e lo osserva con attenzione. Poi, sorridendo, lo mostra alla Ratti, scambiando con lei uno sguardo complice, pieno di simpatia e d’affetto. L’atelier, per un istante, diventa teatro di un piccolo dialogo tra pittura, musica e amicizia: un momento sospeso in cui la creazione si mescola al gioco, la serietà dell’arte si tinge di ironia e la vita quotidiana si trasforma in performance.