Intorno alla metà degli anni Settanta il paesaggio torna a essere il genere più frequentato da Sassu: era già accaduto nel 1929 e anche questa volta la fase ha il sapore di un necessario preludio, la costruzione del fondale di una storia ancora da scrivere, che negli anni Trenta era stata la leggenda degli uomini rossi e questa volta sarà invece la storia della storia del mondo: il racconto dei miti mediterranei. L’isola di Mallorca è il luogo di quest’apparizione attesa. “Per Aligi Sassu la nuova giovinezza si chiama Palma di Maiorca: un sole terribile e speciale, colori terribili e speciali”, aveva subito notato Dino Buzzati. Il colore, che per Sassu è “primordialità eccitante”, modo in cui il reale dilaga dentro di noi, nei paesaggi maiorchini acquisirà una trama segnica, diverrà innervazione del reale. In Cielo rosa c’è un’anticipazione di questa trasformazione nella scrittura della terra e nelle sue valenze cromatiche, che irrompono sugli accordi naturalistici di cielo e mare. Una dissonanza linguistica superata dalla riunione dei quattro elementi primari: aria, acqua e quella terra rossa che è anche fuoco.