Il limbo temporale dove avvenivano le inquietanti riunioni degli uomini rossi, si popola dopo la metà degli anni Trenta degli abitatori dei caffè. Per Sassu il caffè non ha valore di citazione di un tòpos impressionista, ma risponde alla sua assidua frequentazione dei locali milanesi e parigini. Come scriverà nel 1940, è affascinato dalla “luce bianca dei caffè, il sangue pallido e le luci rosa carne dei postriboli e dei bar, dove la vita si trascina e ribolle, morbida vita che si finge realtà”. In questo dipinto, il tema del caffè si fonde con quello della malinconica attesa delle prostitute. La visione dall’alto crea, attraverso l’intersezione dei piani dei tavoli con quelli delle pareti, una complessa spazialità, scomposta dalla scacchiera delle campiture verdi e rosse che definiscono tali piani, su cui s’innestano i perni narrativi delle figure. Dolenti frammenti di un’integrità perduta.