L’intensa frequentazione del paesaggio nel 1929 sembra rispondere al bisogno di Sassu di misurare il suo linguaggio su una scala più grande, che potrà solo in un secondo tempo essere ridotta fino alla minuta analisi della figura. Se si pensa, infatti, al 1929 come all’anno dei Pugilatori, un’opera lontanissima ormai stilisticamente, si comprende la rapidità con cui l’artista metabolizza sia le sollecitazioni provenienti dalla cultura figurativa internazionale, che ha accumulato alla Biennale di Venezia, sia i molteplici stimoli di una Milano che in quegli anni conosce un’intensa stagione artistica: rapidità che è ragione, d’altra parte, di un’inevitabile altalena linguistica. Il laboratorio, fucina enigmatica assediata da una vegetazione che oppone la propria vibrante plasticità all’elementare scrittura dell’edificio, manifesta ad esempio un’episodica tangenza con la pittura del Kirchner del periodo di Dresda, intorno agli anni Dieci, evidente soprattutto in una certa rigida linearità del segno e nel ritmo del tocco.