Per Sassu, pittore fuori delle mode, ma dentro il tempo, l’esperienza futurista si conclude presto, con una svolta che alla fine degli anni Venti protesta una precisa valenza politica. Tra Ugo Ojetti che tuona per un’arte che “in Italia ha da essere italiana” e il fuoriuscito Lionello Venturi che invita i giovani a raggiungerlo a Parigi, Sassu, che alla Biennale del ‘28 ha potuto vedere la rassegna dedicata alla École de Paris, non ha dubbi. Il rigido reticolo futurista, che reggeva la scomposizione volumetrica del reale, lascia il posto all’esperimento di un tratto curvilineo e a una modulazione coloristica del volume. Questo dipinto, eseguito all’Accademia libera voluta dal gallerista milanese Barbaroux che Sassu frequenta insieme con Birolli, Manzù e Tomea, è stato spesso avvicinato al Nudo sdraiato con le braccia intorno al capo dipinto da Modigliani nel 1917. Sassu però, che qui manifesta per la prima volta la necessità ideale di imprimere sulla tela il turgore della vita, pur assaporando un articolato gioco delle masse, rifiuta l’estremismo sintetico di Modigliani.