Il secondo dopoguerra

L’interesse per la ceramica e la scultura
Nel secondo dopoguerra, Aligi Sassu inaugura una piccola officina di ceramica in Valganna. Non si tratta di un semplice laboratorio artigianale, ma di un luogo di sperimentazione, in cui l'artista approfondisce la conoscenza dei materiali plastici e consolida il suo progressivo orientamento verso la scultura. È in questo contesto che la sua ricerca assume un carattere sempre più strutturale, superando la dimensione pittorica in senso stretto per aprirsi alla tridimensionalità della forma.
Nel 1948, partecipa alla Biennale di Venezia con Cristo davanti al Sinedrio: un'opera che non si limita alla rappresentazione del sacro, ma lo interpreta attraverso un linguaggio espressionista, teso a rendere visibile il dramma interiore e la tensione morale del soggetto. La spiritualità non è evocata come trascendenza, ma come condizione storica dell’uomo moderno, segnata dal dolore e dal conflitto.
Due anni più tardi, Sassu realizza l’affresco sul tema del lavoro nella foresteria delle miniere di Monteponi, a Iglesias. Qui il linguaggio si fa corale: la centralità dell’uomo è restituita nella concretezza del gesto e nella densità dei corpi, quasi a voler riscattare la fatica quotidiana attraverso la monumentalità della pittura murale. Non è un'opera celebrativa, ma una riflessione sull’identità collettiva, sul rapporto tra individuo e ambiente produttivo.
In parallelo, a Sanremo, dipinge il Mito del Mediterraneo, un affresco in cui la memoria classica e la vitalità cromatica si fondono in una visione mitopoietica del mare nostrum. La cultura mediterranea è evocata non come eredità archeologica, ma come forma viva, dinamica, espressa attraverso una pittura che tende alla sintesi tra mito e presente, natura e storia.